L’acronimo “DNR” (Do Not Resuscitate) oggi ha valore anche in Italia?

L’acronimo DNR (Do Not Resuscitate), ovvero la volontà espressa in vita di non essere rianimati in caso di arresto cardiaco, è una realtà consolidata da tempo in diversi Paesi e i sanitari sono tenuti a rispettarla. Cosa è cambiato, oggi, in Italia, con l’approvazione in Senato del ddl Lorenzin?

Le sigle DNR (“Do Not Resuscitate”, ovvero “Non Rianimare”), DNaR (“Do Not Attempt Resuscitation”, “Non Tentare La Rianimazione”), NO CODE (fa riferimento al Codice blu col quale negli ospedali viene allertato il team dei rianimatori in caso di arresto cardiaco) e AND (“Allow Natural Death”, ovvero permettere la morte naturale) sono molto conosciute negli Stati Uniti e nei Paesi anglosassoni. Grazie a questi acronimi i cittadini possono esprimere, solitamente in forma scritta tramite un apposito modulo, il proprio rifiuto alla rianimazione cardiopolmonare nel caso in cui il loro cuore si fermi.
A spiegarlo in modo dettagliato, qualche settimana fa, al Corriere della Sera è stato il coordinatore del Gruppo di Studio Bioetica della Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI), Giuseppe Gristina: “Si tratta di un’indicazione che, negli Stati Uniti e in alcuni Paesi di lingua anglosassone (Inghilterra, Canada e Australi in prevalenza), viene utilizzata per fare in modo che persone giunte all’osservazione dei medici prive di coscienza abbiano la possibilità appunto di esprimere la loro volontà rispetto a trattamenti che possono essere posti in atto”.
“Bisogna sottolineare che DNR fa esplicito riferimento al trattamento che si pone in atto in caso di arresto cardiaco e basta, cioè nel momento in cui il cuore cessa di funzionare, la circolazione si ferma e la persona in pochi minuti muore. Se, ad esempio, sono vittima di un incidente gravissimo, ho riportato un trauma cranico e devo essere operato perché mi si è rotta la milza, tutto questo non ha niente a che vedere con l’arresto cardiaco: la milza me la toglieranno in sala operatoria e il cranio me lo curerà il neurochirurgo”.
È di non molto tempo fa un caso decisamente emblematico, verificatosi al pronto soccorso della University of Miami Health System Center, dove un 70enne è stato trasportato privo di coscienza. L’uomo aveva una storia di malattia polmonare ostruttiva cronica, diabete mellito, fibrillazione atriale e i primi test ematici avevano riscontrato un livello di alcol nel sangue piuttosto elevato.
Dopo diverse ore dal ricovero in terapia intensiva, le sue condizioni cliniche sono precipitate, tanto da spingere il personale sanitario a chiedersi cosa fare in virtù di un vistoso tatuaggio sul torace: “Do Not Resuscitate”, con tanto di Not sottolineato e di firma.
Il paziente era solo, non aveva con sé documenti di identità e non conservava in tasca moduli che dimostrassero chiaramente la sua volontà di non essere rianimato. Così, mentre il Dipartimento dei servizi sociali cercava di rintracciare eventuali famigliari, nell’incertezza sulla reale volontà del paziente e non riuscendo a riportarlo in stato di coscienza, i medici hanno preferito prendere tempo, mantenendolo in vita e intanto richiedendo il parere di un consulente in bioetica.
Quest’ultimo, dopo aver esaminato a fondo il caso, ha suggerito  che fosse più ragionevole dedurre che il tatuaggio esprimesse un’autentica preferenza e ha consigliato di rispettare la volontà del paziente espressa in quel modo. Non c’è stato però il tempo di redigere un documento DNR. Il Dipartimento dei servizi sociali ha infatti scoperto che ne esisteva già uno sottoscritto dal 70enne, che quindi non era da rianimare.
E così è stato: di lì a breve il suo quadro clinico è rapidamente peggiorato e i medici non hanno potuto fare altro che attendere l’exitus. Il caso è finito prima sulla prestigiosa rivista scientifica New England Journal of Medicine ed è stato poi ripreso dal New York Times.
E in Italia? Se scoprendo il torace di un paziente incosciente, soccorritori e medici rianimatori ci trovassero la scritta “Non rianimatemi” come dovrebbero comportarsi alla luce della recente approvazione del ddl Lorenzin?
Senza una documentazione adeguata e immediatamente disponibile, i sanitari farebbero semplicemente il proprio lavoro: proverebbero a salvargli la vita. Ma “nel momento in cui questo paziente dispone di una documentazione che testimonia validamente e opportunamente le sue volontà noi medici siamo tenuti a rispettarle, anche se questo comporta il rischio della vita del paziente”, ha sottolineato settimane fa il coordinatore del Gruppo di Studio Bioetica della SIAARTI commentando la legge sul Biotestamento.
“La legge dice chiaramente che il consenso, o in alternativa il dissenso ai trattamenti, va comunque rispettato. Non fosse altro per il fatto che, alla luce dell’articolo 32 della Costituzione, nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge e qui non si fa questione di urgenza o di elezione”.
Nelle situazione di emergenza e urgenza, quindi, “il medico e i componenti dell’equipe sanitaria assicurano le cure necessarie, nel rispetto delle volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla“.

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